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Spanish to Italian: A manera de introducción General field: Art/Literary Detailed field: Poetry & Literature
Source text - Spanish A manera de introducción
UN NIÑO FUE RAPTADO POR LOS INDIOS. Luego de buscarlo infructuosamente durante años, a sus padres les hablan de un indio de ojos celestes. Lo localizan y descubren que, en efecto, se trata de su hijo. Lo conducen a su casa y el muchacho, una vez dentro de ella, se queda en silencio por un momento. De pronto, pega un grito, corre hasta la cocina, mete el brazo dentro de la campana y saca un cuchillito. Al verlo, le brillan los ojos y sus padres lloran al pensar que recuperaron al hijo perdido. Sin embargo, un día cualquiera se fue de vuelta con «los suyos».
La anécdota la relata Borges y no conozco una metáfora más preciosa para dibujar el lugar de los afectos que nos vienen de la infancia. Como las familias, la ciudad en la que crecemos es ese lugar. No se trata de un lugar presente, tangible, físico, sino una dimensión compuesta de escenarios y sensaciones en nuestro recuerdo.
Como la familia, la ciudad es testigo de nuestras encrucijadas. Cómplice de nuestras acciones. Concurrente de nuestras soledades. Guarda los asaltos a nuestra inocencia, la vergüenza de las derrotas, los tesoros que guardamos de ojos ajenos, las sensaciones que no supimos expresar...
Como las familias, las ciudades son esos afectos que nos asignó un dios arbitrario y ocurrente al que llamamos vida. Son ese sin porqué primordial que nos toca enfrentar. Se quieren, incluso contra nuestra voluntad. Se echan de menos, aun sin darnos cuenta. Son el compás, la ventana, el patio desde donde nos contrastamos para sentirnos orgullosos y desafortunados, a un mismo tiempo. Incitan la rabia, el dolor, la indignación y el despecho que solo puede provocar lo que nos importa.
Como las familias, las ciudades son esos afectos que nos asignó un dios arbitrario y ocurrente al que llamamos vida. Son ese sin porqué primordial que nos toca enfrentar. Se quieren, incluso contra nuestra voluntad. Se echan de menos, aun sin darnos cuenta.
Nos aprovisionan de los códigos con los que amamos, los terrores de los que nos cuidamos, los límites que traspasamos. Esculpen nuestro sentido del humor y el gusto que deleita nuestro paladar. Querencia es, después de todo, esa dirección que nos imprimieron en la fábrica.
Este libro no continúa, sino complementa el universo iniciado en Caracas muerde. Es el lado oscuro de esa Luna. La precuela de su historia. El inventario en el que no nos gusta reconocernos. No es el estado anímico o espiritual que nos depara nuestra ciudad. Ni la cartografía de nuestros pálpitos, terrores y aprehensiones. Tampoco la crónica de nuestro espanto y nuestra celebración tras cada batalla ganada. Supone un momento anterior. Acaso apuntes arbitrarios de algunas coordenadas de nuestra naturaleza.
No es lo que nos hace la ciudad, sino cómo terminamos haciéndola a ella.
Este libro es una necesaria extensión. Está hecho de retazos escogidos de cómo nos relacionamos entre nosotros y cómo, para bien y para mal, nos hicimos de un sabor y de un carácter que, paradójicamente, notamos con más claridad cuando no estamos entre iguales.
El nosotros que se deja ver cuando no estamos entre nosotros.
Estos apuntes son una forma de decir que es este el infierno (y hasta el cielo) que construimos, porque ciudad y familia nos fueron dados sin consulta, pero terminaron siendo lo que nosotros hicimos de/ con ellas.
En fin, se trata de esos objetos no declarados que, nos quedemos o nos vayamos, nos acompañarán como una forma menos supersticiosa de decir destino. Son apuntes de un pateador de calle que consideró ineludible continuar un tema. Imágenes que se escriben ante el temor de que prescriban.
Apuntes de lo que hemos hecho con lo que no hemos estado viendo.
El gran selfie, pero con rayos X.
Los objetos no declarados.
Translation - Italian A mo’ di introduzione
UN BAMBINO VENNE RAPITO DAGLI INDIANI. Dopo averlo cercato per anni infruttuosamente, a suo padre viene riferito di un indiano dagli occhi azzurri. Lo rintracciano e scoprono che si tratta, effettivamente, di suo figlio. Lo portano a casa sua e il ragazzo, una volta all’interno, rimane per un momento in silenzio. Improvvisamente caccia un urlo, corre in cucina, infila il braccio nella cappa ed estrae un coltellino. Nel vederlo gli brillano gli occhi e i genitori piangono al pensiero di aver recuperato il figlio perduto. Tuttavia, in un giorno qualunque, ritornò «con i suoi».
Si tratta di un aneddoto di Borges e non conosco una metafora più bella per descrivere il luogo degli affetti che affiorano dall’infanzia. Come la famiglia, quel posto è la città in cui cresciamo. Non si tratta di un luogo presente, tangibile, fisico, bensì di una dimensione composta di scenari e sensazioni del nostro ricordo.
Come la famiglia, la città è testimone dei nostri bivi. Complice delle nostre azioni. Compagna delle nostre solitudini. Custodisce gli assalti alla nostra innocenza, la vergogna delle sconfitte, i tesori che proteggiamo da occhi estranei, le sensazioni che non siamo riusciti ad esprimere…
Come le famiglie, le città sono quegli affetti che ci ha assegnato un dio arbitrario e spiritoso che chiamiamo vita. Sono ciò che senza una ragione primordiale ci tocca affrontare. Le amiamo, anche contro la nostra volontà. Ne sentiamo la mancanza, anche se non ce ne rendiamo conto. Sono il campetto, la finestra, il cortile nei quali ci sfidiamo per sentirci orgogliosi e sfortunati allo stesso tempo. Stimolano la rabbia, il dolore, l’indignazione e il risentimento che solo ciò di cui ci importa può provocare.
Più che amore, è qualcosa di viscerale.
Sono presenti in ogni silenzio che scegliamo, in ogni giudizio che emettiamo, in ogni insulto che proferiamo. Ci forniscono i codici mediante i quali amiamo, le
paure dalle quali ci proteggiamo, i limiti che oltrepassiamo. Scolpiscono il nostro senso dell’umore e il gusto che delizia il nostro palato.
Dopotutto, l’affetto è quell’impronta che ci hanno stampato in fabbrica.
Questo libro non prosegue, ma completa l’universo iniziato in Caracas muerde. È il lato oscuro di quella Luna. È il prequel della sua storia. L’elenco in cui non vogliamo riconoscerci. Non è lo stato psicologico o spirituale che ci dispensa la nostra città. Né la mappa delle nostre palpitazioni, delle nostre paure e apprensioni. Né la cronaca del nostro terrore o della nostra festa dopo ogni battaglia vinta. Presuppone un momento precedente. Forse appunti arbitrari di alcune coordinate della nostra natura.
Non è ciò che ci fa la nostra città, ma come noi la rendiamo.
Questo libro è una necessaria estensione. È fatto di frammenti scelti rispetto a come ci relazioniamo tra di noi e di come, nel bene e nel male, siamo diventati di un gusto e di un carattere che paradossalmente notiamo con più chiarezza quando non siamo tra simili.
Il noi che si fa vedere quando non siamo tra di noi.
Questi appunti sono un modo di dire che è questo l’inferno (e perfino il cielo) che abbiamo costruito, poiché città e famiglia ci sono state date senza averle richieste; ma sono diventate ciò che noi stessi abbiamo fatto di/con loro.
In fondo, si tratta di quegli oggetti non dichiarati che, volenti o nolenti, ci accompagneranno come una forma meno superstiziosa di dire destino. Sono appunti di un nullafacente che ha ritenuto inevitabile continuare una discussione. Immagini che si scrivono di fronte al timore che si prescrivano.
Appunti di ciò che abbiamo fatto con ciò che non abbiamo visto.
Il grande selfie, ma ai raggi X.
Gli oggetti non dichiarati.
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Master's degree - UNINT Roma
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Years of experience: 6. Registered at ProZ.com: Feb 2018.
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